Su borghi e paesi c’è un gran parlare, come fosse facile stimarne lo stato di salute sulla base di iniziative promozionali. Il Club dei borghi più belli d’Italia ne promuove la bellezza, ma alla fin dei conti non basta una tabella all’ingresso del paese o sul balcone del municipio per elevarsi a paese turistico e virtuoso, se poi la vita di tutti i giorni per i residenti è quella del vivere per sottrazioni. Vivere in un paese vuol dire rinunciare ai servizi essenziali, alle opportunità culturali, molto spesso alle scuole per i tuoi figli e a dover utilizzare l’automobile anche per aver diritto ad un minimo di socialità. La Strategia nazionale per le aree interne c’è, ma qui non se ne sente nemmeno la parvenza e abbiamo solo notizia di un Protocollo d’Intesa tra il Comitato tecnico aree interne e il Touring Club per dare attuazione a questa strategia. La legge Salvaborghi c’è, ma al momento non interessa a nessuno. Vedremo dopo gli esiti delle elezioni politiche. Per il momento è solo un gran parlare quello attorno ai paesi, spesso chiamati “borghi” per conferirgli, almeno dialetticamente, una maggiore dignità per lo più estetica. La percezione è sempre diversa tra chi lo visita e vi soggiorna per qualche giorno e tra chi ci abita e lo vive quotidianamente. Chi lo visita lo trova pulito, silenzioso e rilassante, ammira i paesaggi e appaga lo sguardo nella bellezza formato cartolina. Ne apprezza la gastronomia, l’accoglienza degli abitanti, l’aria e quel “niente” a cui forse bisognerebbe riguardare con uno sguardo diverso.
E’ sempre sottile il confine tra ciò che può essere beneficio per gli abitanti di un paese e tra ciò che lo è per i visitatori.
Sarebbe interessante stilare un elenco delle opportunità e delle criticità almeno una volta l’anno, seguito da precetti per un rinnovato umanesimo e sarebbe bello che la comunità tutta partecipasse ai contenuti di questo elenco per poi consegnarlo ai capi che nei proclami istituzionali mettono il cappello con gli investimenti di quei piccoli imprenditori che gestiscono bed and breakfast, ristoranti, piccole aziende agricole e che accolgono i visitatori nel tentativo di trarre economia, sussistenza e un pò di lietezza della condivisione dal loro vivere nei paesi. Forse c’è un diritto puntualmente negato nella ostinazione di vivere in un paese e produrre economia; quella di produrla senza essere super tassati per il solo fatto di produrla. I comuni dei paesi sono depressi e in agonia, non hanno soldi, non hanno visioni, non hanno poesia, non hanno sogni, non hanno ambizioni e gli amministratori, prima di ogni argomentazione pubblica esordiscono con il solito ritornello come per giustificare l’inefficacia del loro amministrare:
“il paese si spopola, gli anziani muoiono e i giovani vanno via”
Civita, il paese in cui vivo da 16 anni, al mio ritorno nel 2002 contava circa 1400 abitanti, oggi 23 gennaio del 2018 ne conta poco meno di 700. Le previsioni del prossimo futuro è difficile che possano essere migliori. Bisogna nutrire ambizioni nei paesi, almeno una; un paese senza ambizioni è destinato a morire o a diventare la succursale dell’oblio. Forse nei paesi c’è bisogno di amministratori che amino la poesia più del cemento. Nel mio paese verrà appaltato il progetto per una scuola nuova, ma allo stato attuale i bambini della scuola sono appena 20 distribuiti in 2 pluriclasse. Invece, un ostello della gioventù è destinato da oltre 5 anni a sede per il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e ogni anno che passa l’edificio perde un pezzo.
Ora è difficile esprimere il proprio dissenso allo stesso modo in cui è difficile dialogare in maniera costruttiva.
Se questo accade è sempre tra pochi, a bassa voce; è solo uno sfogo che per un pò ti fa ribollire il sangue, ma ti lascia con l’arsura alla bocca e con l’impotenza di chi per il solo fatto di esprimersi verrà spacciato come rivoluzionario e i rivoluzionari sono tenuti in sordina dagli oppressori e dagli oppressi. Farsi istituzione è una parola forte che per quell’attimo in cui la pronunci ti fa sentire libero, ma poi ti vedi fuori da te stesso con il viso corrucciato in una desolante solitudine con quelli che parlano parole mute e ti istigano ad essere ciò che loro non hanno il coraggio di essere. La cosa più assurda è che si cerca di fare a tutti i costi qualcosa di straordinario per autocelebrarsi, per fare notizia e spesso ci sono molte falle e bugie in quella straordinarietà, quando basterebbe assurgere al ruolo di cittadini, ma nessuno sa più cosa vuol dire essere cittadini, amministratori, come essere figli, padri e madri. Vuol dire custodire qualcosa e prendersene cura con buon senso e responsabilità. A tutto questo si deve rispondere senza esitazioni, non si può lasciare più niente al caso, non possiamo affidare la nostra vita e i nostri diritti allo Stato, ai partiti e ai politicanti. Dobbiamo riprenderci il coraggio di dissentire, di manifestare, di dire la nostra senza usare la violenza, ma con armi potenti come la tenerezza, la compassione, la tenacia e la temperanza. Oggi la grandezza è nelle cose minime e nei piccoli gesti quotidiani. I paesi si salvano solo se salviamo noi stessi.